A volte non capire il titolo di un libro può diventare un buon pretesto per comprarlo. Ovviamente, dopo, dovremo fare i conti con noi stessi. Ma la quarta di copertina ci cattura: proviamo allora a immaginare una cena in un’elegante casa di Greenwich, dove uno degli invitati ad un certo punto sale al piano di sopra e si chiude in una stanza, con l’intenzione di non uscirne più. Per giorni, settimane, mesi: “forse per sempre”. Il lettore un poco prevenuto si chiederà a questo punto come possano occorrere 280 pagine per prendere la sana decisione di chiamare un fabbro – quello più curioso, invece, vorrà sapere come possano essere usate per non decidere di farlo.
Con C’è Ma Non Si, Ali Smith conferma il suo talento di scrittrice, offrendo al lettore un piacevole “romanzo dell’assurdo”, scritto in una prosa spigliata e spiritosa, con un costante gusto per l’ironia witty e per il gioco di parole. La forma, moderatamente sperimentale, non impaccia troppo la scorrevolezza del testo: a tratti, specie all’inizio, ci s’ingarbuglia un poco, tra continui salti temporali, digressioni e gustosi misunderstandings – ma una volta prese le misure si può godere appieno della lettura. Anche perché, nei limiti della forma stabilita, lo stile cambia per ognuno dei quattro “quadri” che compongono il libro: quattro voci distinte che tentano ognuna a suo modo di tracciare la figura del grande assente, Miles Garth.
Perché la vicenda è proprio quella della quarta di copertina: solo che il protagonista, diversamente dal monomaniaco che molti avranno immaginato al primo approccio, rivela una profonda dignità umana, che scaturisce appieno dalla splendida scena centrale. È infatti nel corso della famigerata cena in casa Lee, che tutte le ipocrisie e le contraddizioni della società inglese “colta ed elegante” emergono con più forza – e la decisione di barricarsi in una stanza di quella casa non è tanto una fuga, quanto il tentativo di scardinarne il meccanismo malato. La serie di eventi scatenati da questa scelta culmina inevitabilmente nel fenomeno mediatico (la “Milomania”): e presto “il maniaco” non è più Miles Garth ma la folla che si accalca sotto la sua finestra chiusa. La finale catarsi, poi, affidata al flusso di coscienza di una bambina (la splendida Brooke Bayoude, cui è dedicato l’ultimo “quadro”), rivela l’assoluta inanità di questa attesa.
Degno di nota è infine il “prologo” della vicenda: una scena di difficile interpretazione, che dovrà essere riletta alla luce delle pagine finali. Anche qui è infatti un bambino a ridare all’uomo la vista e la parola, a riconsegnargli un’identità propria tramite un gesto semplicissimo.
Con questa sua ultima fatica, Ali Smith non porta certo alcuna vera novità nel panorama letterario contemporaneo. Ma di fronte a tanti prodotti sempre più standardizzati, questo gustoso mix di commedia dell’assurdo e critica sociale si distingue con sicura evidenza. Un libro da consigliare, intrigante e divertente, adatto per i lettori non troppo esigenti o già annoiati, ma soprattutto per quelli dotati del più sano gusto per l’autoironia.
edito da Feltrinelli
pp. 288 – euro 19