“Un santuario in montagna, una comunità di preti e suore di clausura, nobiltà massonica, dicerie e sotterfugi, alleanze e intrighi”. Niente male i presupposti per il nuovo libro di Pier Francesco Gasparetto, la cui “avvincente e misteriosa vicenda esplode a partire dal ritrovamento di un neonato piangente all’interno della chiesa”. Ma superata la soglia della quarta di copertina, ci confrontiamo con un plot che fatica a decollare, lungo una linea di sviluppo pure un po’ scontata – e non occorre nemmeno varcare troppo quella soglia, per intuirlo. I numerosi personaggi, appiattiti nelle loro tipologie caratteriali, mettono in scena quadretti che hanno tutto il sapore della fiction televisiva, con l’immancabile prete (o frate) investigatore di turno, con le macchiette dei commissari e appuntati, per non parlare di tutto il “piccolo popolo” che anima il paesello. E come se non bastasse, anche i nomi “parlano” fin troppo – dall’ingegner Prospero Delletrame, maestro di loggia massonica, fino ai coniugi Maltagliati, titolari di una “catena di negozi di abbigliamento maschile di super nicchia” (p. 37). La vicenda “avvincente e misteriosa” cui allude la quarta di copertina si esaurisce in scarni colpi di scena (largamente prevedibili) e nelle lunghe ricapitolazioni degli (altrettanto previsti) retroscena. E non possiamo non storcere il naso di fronte ai molti refusi, spesso frutto di un’evidente incuria nella stesura ed edizione (“non disdegnando servizi molto più terra umili”, p. 16; “silenzioso Smilziade serviva gli petit-four”, p. 38; “Invece, di alzare leggermente la voce”, numero di pagina misteriosamente assente; “l’Inno al Sole dalla Nona sinfonia di Beethoven”, pagina ancora assente). Insomma: ne avremmo davvero abbastanza per sospirare chiedendo indietro all’autore il tempo perduto nella lettura.
Eppure quel tempo, di nostra propria volontà, l’abbiamo perso per davvero. Perché l’inevitabile delusione di fronte alle sbiadite “tinte gialle” di questo romanzo, è compensata cammin facendo dall’ironia che ne pervade le pagine. Prima di tutto quella giocata su noi lettori, che pronti ad abboccare agli ami lanciati dal narratore (“ecco finalmente l’omicidio! E poi lo scandalo! Le messe nere!”), torniamo di volta in volta con la coda tra le gambe alla semplice, prosaica realtà dei fatti. E poi quella determinata proprio dalla mediocrità dei personaggi, i cui caratteri così stereotipati ci portano inevitabilmente a simpatizzare con loro. L’abilità del narratore si gioca tutta nel confronto con questo grigiore diffuso: e gli inserimenti dell’indiretto libero, scanditi a puntino fra i molti dialoghi, favoriscono proprio quell’improbabile immedesimazione. La cifra stilistica di Gasparetto si definisce e ripete lungo tutto il libro, in un gioco quasi metaletterario costruito sul già detto e già sentito. La forma iterativa, così, torna sia a livello micro che macrostrutturale. Leggiamo allora brani come il seguente, il cui ritmo variato è costruito proprio sulle insistenti ripetizioni:
“Taceva padre Saverio, occhi chiusi, capo chino, tacevano i fratelli maestri della loggia fra Dolcino, occhi chiusi, capo chino. / Occhi chiusi capo chino non tutti o, perlomeno, non sempre. Di quando in quando, qua e là, un capo chino si alzava guardingo, occhi chiusi aprivano una fessura a interrogare” (p. 127)
E allo stesso modo percorriamo interi capitoli, come quello dal titolo “Idea di mamma”, che si apre con un Charlie piangente (“È stata un’idea della mamma, io non c’entro”, p. 243), per poi raccontarci come Charlie si sia infine ritrovato a scusarsi (piangente) di fronte a Padre Philip: “È stata un’idea della mamma, io non c’entro” (p. 244).
A ragion veduta, non possiamo che fare i complimenti allo scaltro Gasparetto, attento sia alle esigenze dei lettori in cerca di mediocrità (detto tra noi: alle ragioni del portafogli), sia a quelle della critica più attenta e agguerrita – e pure un poco antipatica.
pubblicato da Aliberti editore
pp. 299 – euro 17.50