“La faccenda, come ho già lasciato intendere, è un po’ confusa; un po’ nebulosa, per usare una delle parole che salta fuori quando il signor Kindt discute dell’inevitabile tendenza di passato e presente a ‘infettarsi a vicenda’, in questo luogo”.
È certo una storia nebulosa e confusa, quella narrata da Laird Hunt ne “La versione di Rembrandt”, un libro che cattura da subito per la potenza immaginifica e per l’originalità della prosa, ma che nel complesso lascia un poco interdetti, impigliandoci in una serie di corrispondenze e allusioni che, a lungo andare, rivelano la propria totale irriducibilità entro un percorso univoco.
Ma dietro quest’apparente confusione, dietro le bizze del narratore, si nasconde una costruzione finemente sviluppata, che riprendendo due opere precedenti e all’apparenza irrelate (la “Lezione di anatomia” di Rembrandt e “Gli anelli di Saturno” di Winfried Sebald), crea un ibrido di difficile interpretazione. I continui riferimenti a Rembrandt e Sebald fungono così da connettore tra i due fili di cui si compone la trama – due tracce che, se inizialmente sembrano costituirsi nella classica struttura del flash back e flash forward, lentamente divergono, giungendo infine a costituire due veri “universi paralleli”. Come nella citazione riportata in apertura, passato e presente “si infettano a vicenda”, in un processo che potrebbe essere ampliato ancora e ancora, oltre lo spazio stesso del libro. E quel “signor Kindt” che percepiva l’infezione, si scompone così in due omonimi dai caratteri sempre più sospetti: da un lato l’Aris Kindt filantropo e organizzatore di finti omicidi, dall’altro l’Aris Kindt internato e ideatore di piccoli furti – il tutto per condurci infine alla determinante rivelazione: che Aris Kindt è in realtà un nome “rubato” a un uomo ucciso, al soggetto della Lezione di anatomia di Rembrandt e, forse, anche a qualcun altro.
Le due sezioni del libro si dispongono in una struttura intrecciata e ondivaga, che alterna i capitoli ambientati in una New York #1 (del passato, e del sogno) a quelli nella New York #2 (del presente, e “da incubo”), in una successione che ben presto assume i tratti dell’intima correlazione. E questo sviluppo si riflette nelle corrispondenze tra i nomi e i personaggi del libro, tra i loro gusti e passioni, ma solo per esaltarne ancor più l’inestricabile ambiguità. Le due protagoniste femminili nelle due New York parallele sono Tulip e la dottoressa Tulp – ma quest’ultima si scoprirà essere omonima del “Dottor Nicholas Tulp della Reale accademia olandese”, l’uomo che eseguì di fronte a Rembrandt l’autopsia sul corpo di Aris Kindt. A complicare ancor più il puzzle interpretativo, giunge la figura del protagonista, Henry, che si rivela abile e accanito mentitore, anche nei confronti di noi lettori.
Da tutte queste premesse sorge un libro-rompicapo, intricatissimo ma di sicuro fascino. L’effetto complessivo può certo dirsi riuscito, e una volta iniziato, risulta davvero difficile abbandonarne la lettura. Ma un eccessivo indulgere in questi giochi di specchi, potrebbe forse frustrare anche il lettore più ben disposto. La trama sembra infine condurre da nessuna parte, e l’interesse primario che guida la lettura diviene quello di sdipanare un mistero che pagina dopo pagina s’infittisce sempre più.
Gioca con noi, Laird Hunt, e lo fa con indubbia classe, ma dove questo libro riesca davvero a lasciare il segno, resta difficile a dirsi.
“La versione di Rembrandt” di Laird Hunt
titolo originale: “The Exquisite”
edito da Alet
pp. 234 – euro 16