“Eppure, la memoria ci dice che questo è quello che si è stati, e ci sommerge un rimpianto che non sappiamo cancellare”.
Rossovermiglio, premio Campiello 2008, è un romanzo intriso di ricordi, rimpianti e rimorsi alternati a certezze, volontà e prese di coscienza che vanno a comporre il quadro di un’intera esistenza. Quella di una donna, cresciuta nell’aristocratica Torino del primo Novecento, giovane e infelice sposa di un nobile imposto dal padre, vincolata dalle rigide convenzioni sociali di quegli anni, alle quali vi si oppone con determinazione. La storia della Contessa Villaforesta risulta senza dubbio affascinante e intrigante; la tenacia e la perseveranza che la protagonista dimostra nelle azioni e nelle scelte anticonformistiche la rendono un’eroina per certi aspetti anche romantica: “chi mi guardava vedeva una donna bella e altera, con certe durezze e una buona dose di testardo coraggio”. Una vita intensa – inequivocabilmente legata agli eventi della Storia, la Seconda Guerra Mondiale con i suoi drammi, il Fascismo e le sue atrocità, la nascita della Repubblica e gli interrogativi sul futuro – fatta di conquiste, che si riveleranno relative e inconsistenti, e di rinunce che invece sveleranno il senso più profondo dell’esistenza.
In un crescendo di flashback narrativi, la protagonista, che è anche io narrante, racconta quindi il fallimento del suo matrimonio combinato nel 1928, il travolgente incontro con Trott, attraente ed enigmatico avventuriero – con il quale vivrà la vera storia d’amore – la conseguente consapevolezza di voler essere una donna libera, il volontario allontanamento dall’ambiente ottuso e artefatto della nobiltà torinese. La Contessa decide di trasferirsi in una tenuta di famiglia, La Bandita, nelle colline toscane, in quella “terra sempre uguale nel tempo, con quei colori e quegli odori, lenta e silenziosa”. Ed è in questa nuova e diversa dimensione che sembra ritrovare se stessa, attraverso il contatto con una natura unica, “una quieta infilata di vigne ordinate, di conche e salite” dove “si sente una musica mischiata all’odore del bosco dopo la pioggia”. Un altrove che invita a condurre una vita semplice, scandita dai ritmi del lavoro della terra, dalle lunghe cavalcate, dalle riflessioni più profonde. Insieme a Trott, che poi la lascerà per denaro, inizia a coltivare i poderi per ricavare quel vino, il Rossovermiglio appunto, “un incanto anche nel nome”, forse la cosa più concreta e gratificante della sua vita.
Oramai anziana, la Contessa avverte la necessità di ricomporre i tasselli di un passato lontano, di recuperare la sua vera identità e ciò avviene attraverso il Ricordo: “Tutto ha funzionato finché non ho cominciato a ricordare. Mi pareva di non far nulla di male a ripercorrere certi piccoli episodi che credevo dimenticati da tanto tempo, e che invece, appena sollecitati con un movimento perfino più lieve di una carezza, sono tornati indietro freschi, come fossero appena accaduti”. Il vissuto viene scomposto e scrutato negli aspetti più profondi e talvolta scomodi, viene ricostituito nella sua essenza. Ecco, la bellezza e la complessità di questo romanzo risiedono proprio nella sovrapposizione di più piani narrativi, quello lineare degli eventi, della storia che suggella il passato ponendolo in una dimensione statica e quello vorticoso del ricordo, della memoria che lo ricrea, lo impreziosisce rendendolo vitale. A noi lettori è riservato il piacere di provare un’emozione unica, quella di sentirsi parte di un universo creato dal “movimento oscillatorio della memoria” in cui assume un aspetto perfino sublime l’impossibilità stessa di “arginare un fiume di parole che facevano ressa per uscire, per spiegarsi ciascuna all’aria, al sole, come tanti pezzetti di carta”, in cui “qualche meccanismo cerebrale deve essersi incantato in un movimento oscillatorio, avanti e indietro, fra l’oscurità di un’umida sera di novembre e una giornata di giugno in cui il frinire delle cicale si mescola alla voce concitata dell’annunciatrice radiofonica, che elenca numeri e dati, proclamando la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra”. Un universo simbolico i cui veri e forse unici protagonisti sono il ricordo, la memoria e l’oblio, anzi la struggente dolcezza dell’oblio: “L’ultimo suono che sento è il grido di un uccello notturno di cui mi accorgo di avere, finalmente, dimenticato il nome”.
“Rossovermiglio” di Benedetta Cibrario
edito da Feltrinelli
pp. 213 – euro 15