Quello di Alajmo non è un semplice viaggio in Sicilia, ma un viaggio nella sicilianità come si può cogliere dal titolo che incuriosisce, “L’arte di annacarsi”, e dal sottotitolo “Un viaggio in Sicilia”, quasi un chiarimento, una precisazione.
Ma il proposito sta nell’annacamento.
Annacamento è una parola che non ha traduzione esatta in italiano se non con il termine cullare/cullarsi, che non rendono l’essenza e il concetto chiave del termine che vuole significare, come lo stesso autore spiegherà, “il massimo del movimento col minimo dello spostamento”. E sull’onda lenta di una naca (culla), ci racconta la sua terra, quella immobile e pigra cui fa riscontro quella frenetica, mentre a quella babba si contrappone la sperta, quella furba, una Sicilia dai tanti volti, come allude e sottolinea l’autore stesso citando in apertura Gesualdo Bufalino.
Una terra di contrasti, agghindata di luoghi comuni, difficile da raccontare soprattutto se si è nativi dell’isola perché i siciliani tendono a diventare apprensivi quando devono raccontare agli estranei di sé e della propria terra. Sanno che devono misurarsi con una quantità di luoghi comuni che vanno dalla mafia allo scirocco e molto altro ancora.
Per chi è siciliano, da tempo lontano dalla Sicilia, e che guarda con il cannocchiale rovesciato della distanza, la lettura del viaggio di Alajmo è coinvolgimento emozionale o nostalgico o risentito per le bellezze di una terra ancora in alcuni tratti selvaggia e originaria o abbrutita in mille brutture senza soluzione o impelagata senza riscatto; ma è anche una lettura che sa stemperare nell’ironia, a volte pungente a volte scanzonata, quella miriade di stereotipi che da sempre l’accompagnano; ma non manca anche il sapore della scoperta. Come accade per tutti i luoghi che ammaliano, ma nello stesso tempo sconvolgono e non sono di semplice approccio o comprensione, così la Sicilia si ama o si rifiuta, ma non lascia mai indifferenti.
Per chi è un siciliano fuoriuscito come me, la lettura è stata un tuffo e un bagno quasi salutare nella mia più profonda connotazione siciliana, quella che si crede di aver perduto solo perché si è partiti; è stato invece un ritrovarsi, un fare “autoanalisi” insieme al viaggiatore Alajmo che ci nasce e ci vive, scoprendo insieme a lui “cose che sapevo senza saperlo”.
Chi non si accosta alla lettura come siciliano, troverà interessanti e curiose le risoluzioni dei clichè e il racconto delle località, delle genti e dei territori estremamente accattivante e coinvolgente per l’approccio nuovo che l’autore sa costruire, con l’ironia con cui lo sa accompagnare, stemperare o graffiare.
E il lettore siciliano? Condivide che la mafia è un odore o meglio una puzza e che se è vero che dà lavoro ne fa pagare anche un prezzo altissimo in sottosviluppo?
Il viaggio parte da Marsala e Caltafimi, “visto che da qualche parte bisogna cominciare”, proseguendo per Palermo dove l’arte d’annacarsi sembra raggiungere livelli prestigiosi, ma che al detto arrendevole del “Noi qua siamo” sa contrapporre i suoi pazzi, quelli che non si adeguano allo stato delle cose.
Una puntata a Lampedusa enigmatica come il Marrobbio e a Mazara dove l’integrazione passa attraverso la tavola perchè il cuscus ha pari dignità degli spaghetti, per concludersi a Messina passando per gli Intermezzi che hanno per protagonisti Federico II, Santa Rosalia e il vino.
Ma non si può raccontare, il viaggio di Alajmo va letto e gustato perché ogni parola o frase apre nuovi scorci e finestre godibili e interessanti su un mondo, sulla sicilianità e sul sicilianismo che più che “orgoglio è un rimorso”.
Un racconto-saggio che sa far riflettere e sa intrattenere piacevolmente e non per ultimo, invita a visitare questa terra sorprendente.
edito da Laterza
pp. 274 – euro 9.50
Recensione di Salvina Pizzuoli