“La piazza del Diamante” di Mercè Rodoreda (Beat Edizioni)
Una donna, Natalìa, una città, Barcellona, un momento storico rilevante, il passaggio dalla repubblica alla dittatura franchista, e una piazza, piazza del Diamante, piena di luminarie e di balli dove la storia di Natalia detta Colombetta ha inizio e dove si concluderà, a distanza di molto tempo, con un urlo che “dovevo portarmi dentro da molti anni”, dirà la protagonista,”così ampio che aveva fatto fatica a passarmi per la gola, dalla bocca mi uscì un pezzetto di niente [… ] e quel pezzetto di niente che mi era vissuto tanto tempo dentro era la mia giovinezza che fuggiva”. Ed è proprio in piazza del Diamante che la donna saprà ritrovare se stessa e si farà consapevole di una sua nuova possibile esistenza.
Un racconto in prima persona, un percorso della memoria, a volte più sfocato e a volte nitidissimo e denso di particolari legati soprattutto agli ambienti, agli oggetti, alle strade. E il lettore scorre le vicende di una giovane Natalia a un ballo a piazza del Diamante con uno sconosciuto che poi sposerà e dal quale avrà due figli, fino ai tempi bui e difficili della guerra civile che Colombetta sarà capace di affrontare da sola; il marito infatti vi partecipa e vi muore. La segue dentro i suoi ricordi dai primi anni di matrimonio con un marito stravagante che le impone le proprie bizzarrie, fino al secondo matrimonio che la salverà insieme ai figli dall’indigenza.
Lo stile parlato rende vivo il pensiero e i ricordi della protagonista che focalizzano momenti salienti, quelli incisi nella sua memoria con le emozioni e le sensazioni ancora fresche e trasmesse a chi legge con la forza del linguaggio della semplicità
“dentro ero come una casa quando vengono gli uomini del trasloco e mettono tutto sottosopra. Così ero io dentro”
Nel Prologo a “Specchio infranto”, un romanzo più tardo rispetto a “Piazza del Diamante”, la stessa Rodoreda scriveva che “un romanzo è parole” e che con “scrivere bene” lei intendeva “scrivere con la massima semplicità le cose essenziali, dare rilievo a ogni parola” tanto che anche “le più anodine possono brillare accecanti se le collochi al posto giusto”. E lei c’è riuscita egregiamente.
Di Colombetta, come personaggio, nello stesso Prologo scriveva che “avrebbe affrontato la vita senza un briciolo di sentimentalismo: come l’affronta la gente del popolo, sana”. E in Colombetta la candida, riesce a far sì che i ricordi e le sensazioni emergano dalle profondità dell’anima: rivelazione e sorpresa, come scoperti per la prima volta “e avvertii forte il trascorrere del tempo. […] non quello che mette foglie sui rami o quello che le strappa via […] ma il tempo dentro di me, il tempo che non si vede e ci impasta”.
“La piazza del Diamante” non è un romanzo recente, risale al 1962 quando l’autrice, catalana di origine, lo scrisse durante il suo volontario esilio ginevrino dopo l’affermazione di Franco al potere. Marquez lo definirà il romanzo più bello che sia mai stato pubblicato in Spagna dopo la guerra civile, altri lo ritennero emblematico nel cogliere la guerra civile spagnola attraverso gli occhi di una donna dell’ambiente artigiano del quartiere Gracìa di Barcellona sullo sfondo della città prima durante e dopo il conflitto. Ristampato più volte è un libro da leggere, un pilastro della letteratura contemporanea dove l’incantesimo, come scriveva Tabucchi, sta nei dettagli della descrizione del personaggio femminile ad opera di un’altra donna e nella presenza “dell’assenza” della guerra civile spagnola. Quel che colpisce e resta sicuramente impresso è lo stile, una sorta di limpidezza narrativa che sa far scorrere con naturalezza, immediatezza ed empatia il complesso racconto della vita di una donna.
“La piazza del Diamante” di Mercè Rodoreda
edito da Beat Edizioni
pp. 203 – euro 9
Recensione di Salvina Pizzuoli