La pratica di lasciare i propri figli alla cura di terze persone fu abbastanza usuale in Italia, e non solo in Sardegna. Lo scopo era quello di proteggere i più piccoli: solitamente, il bambino che viveva nell’indigenza veniva accolto da una famiglia benestante e allevato come un figlio.
Maria, ad appena sei anni viene sottratta ad una sicura vita di stenti e affidata a Bonaria, che è sola e prossima ad una facoltosa vecchiaia. La bambina e la sua nuova madre, pur conservando una sorta di pudore reciproco, imparano a volersi bene, a tenersi compagnia, ad avere fiducia l’una nell’altra. Uniscono le loro solitudini, conservando la rispettiva individualità. Fra di loro il pudore frena sempre gli slanci più sinceri, anche se questo non impedisce il formarsi di una vera e propria unione di anime.
Michela Murgia racconta una Sardegna nera come la pece, a cominciare dall’immagine di copertina. Il volto di una ragazzina immerso nelle tenebre è rischiarato solo dalla luce delle candele. E nere sono le vesti, neri gli scialli, neri i capelli e scuri gli occhi – e profondissimi – delle donne che popolano il romanzo. Scordiamoci il mare cristallino e le spiagge inondate di sole: qui, la vera protagonista è la notte. L’oscurità è complice delle azioni più o meno lecite dei personaggi.
Il linguaggio dell’autrice non è immediato: lei utilizza “il suo sardo” ed è il lettore che, poco alla volta, vi si adatta.
“La notte di Ognissanti. Quando la porta viene lasciata aperta per la cena delle anime, voi potete entrare e uscire senza sospetto!”
Superstizioni, lamentazioni in versi, credenze; a Soreni sopravvivono rituali antichissimi che sembrano avere fermato il tempo nonostante l’azione si compia nella seconda metà del Novecento.
Quando Maria si reca a Torino, la descrizione della fredda città la fa comunque risaltare, al confronto di Soreni: Torino sembra avere più colore e vita.
L’intrico delle strade dei paesini sardi, quelle segnate seguendo il capriccioso percorso costituito dalle case preesistenti, nel capoluogo piemontese è sostituito da un perfetto reticolato, assolutamente regolare.
Il centro della città costruito in base ai dettami dell’urbanistica romana, il suo nitore, la modernità di Torino non devono però trarre in inganno; l’autrice ci ricorda che un’apparente regolarità non deve necessariamente fornire alcuna certezza, né protezione.
Se inizialmente Maria fuggirà al suo destino, poi vi farà ritorno. Assolverà al suo dovere di figlia d’anima, rispettando un patto non scritto, ma conosciuto da tutti.
Tornerà e si prenderà cura di sua madre, l’Accabadora, colei che finisce.
edito da Einaudi
pp. 164 – euro 13