feltrinelli michele serra gli sdraiati giovanni proiettaCos’è “Gli sdraiati” di Michele Serra? Un racconto spurio colpevole di bellezza. Se le recensioni dovessero arrestarsi sulla soglia delle sei parole, saremmo a cavallo. La tentazione forte è di proseguire prendendo subito le distanze dal ritratto della nostra generazione (a parlare è un ventitreenne) presentatoci da Michele Serra. Delle amebe sdraiate, senza un futuro che non sia la ripetizione eterna di un presente di precarietà, appeso ad oggetti e luoghi inutili e labili. Finiremmo così per essere noi i colpevoli, di snobismo stavolta, quando l’analisi di Serra fotografa bene molti dei nostri reali difetti, senza generalizzare mai. La narrazione mescola sapientemente riflessioni saggistiche con il racconto di un padre alla ricerca del tempo perduto da lui e da suo figlio per dare un senso a quella catena di cui si sente l’ultimo anello. Una distinzione ontologica tra ciò che è stato e le generazioni protagoniste del futuro, per la prima volta perdenti, offuscate da una schiera di anziani che vive del proprio ricatto anagrafico. Prima di perdersi in quella che più che una recensione vuole essere un commento, occorrerà spiegare la ragione di quell’aggettivo, spurio, che apre il ragionamento. Il romanzo è spurio per due ragioni: innanzitutto perché manca una seria ammissione di colpevolezza dei padri (o post-padri, come li definisce Serra) che invece eccellono nell’auto indulgenza (concessa al solo Serra, che perlomeno è genuino quando ammette la propria personale manifesta inferiorità), e infine perché alla domanda più interessante, ovvero quella sul futuro del problematico rapporto genitori-figli l’autore preferisce un’utopia sentimentale e generosa, buona se hai scritto qualcosa che abbia in sé il seme della speranza ma che, visto che “Gli Sdraiati” oscilla per un centinaio di pagine tra sarcasmo e ironia, finisce per lasciare decisamente a bocca asciutta. L’autore viene messo in salvo dalla maestria con cui narra tutto ciò, dalla profonda intelligenza delle intuizioni, dal mestiere con cui sa inanellare apparentemente senza fatica una serie di virtù del buon giornalista (lo stesso mestiere con cui cesella le sue  “Amache” e la formidabile rubrica di “Satira Preventiva” sulle pagine dell’Espresso) rendendo la prosa gradevole, costretta nella zona liminale degli aggettivi superlativi. Spuria non sarà questa recensione anche se di una minima sinossi che possa perlomeno rendere il gusto della lettura di questo libro. La storia è quella di un cinquantenne (il tema anagrafico era già presente nel libro del quarantenne Michele Serra, “Il ragazzo mucca”) che vuole convincere suo figlio del valore indiscusso di una passeggiata in montagna, della normalità che risiede nell’idea di occuparsi del proprio mondo, laddove il figlio preferisce ascoltare le proprie musichette, impotente e appunto sdraiato, a guardare il mondo circostante tramite gli effetti deludenti di un’incompresa ipertrofia tecnologica.  L’incomunicabilità tra un papà che non sa stare pienamente nella parte e di un figlio che non sembra appartenere alla grande famiglia dell’umanità così come l’abbiamo conosciuta. E’ un romanzo infine questo, sul disorientamento di due generazioni, una sensazione resa inaccettabile perché priva di quella fratellanza fra carcerati che salva la vita permettendo di sopportare allo stesso momento la convivenza e la pena.
L’architettura del racconto è magistrale, il lessico da padroni della lingua, quindi del mondo, e l’intreccio narrativo è moderno, asciutto, pulito anche quando gli arnesi della scrittura tenderebbero altrove a confondere e forse annoiare il lettore.
Sul piano narrativo nulla da eccepire, sul piano filosofico molto, su quello personale un solo grande abbraccio, per consolare, per comprendere e per ringraziare prima del bel regalo, a nome della platea dei lettori di professione, e poi della splendida umanità, senza la quale nulla potrebbe tenersi, non solo nel mondo dei libri.

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“Gli sdraiati” di Michele Serra

edito da Feltrinelli

pp. 108  –  euro 12

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Recensione di Giovanni Proietta

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