einaudi roth comunista“Ho sposato un comunista” (scritto nel 1998) fa parte – insieme a “Pastorale americana” (1997) e “La macchia umana” (2000) – della triologia  in cui Philip Roth descrive l’America del dopo guerra.
Ci troviamo in America negli anni del maccartismo e della conseguente caccia alle streghe e la voce narrante è quella di Nathan Zuckerman, alter ego dello scrittore.
Nathan, ormai adulto, incontra casualmente il suo vecchio insegnante di lettere ed insieme ripercorrono lo loro vita e soprattutto la vita di Iron Ringold, fratello del professore e riferimento fondamentale per la crescita di Nathan.
Iron è ormai morto e a nessuno, tranne che a loro due, importa più della sua storia.
Eppure è stato famoso, dopo aver fatto i mestieri più umili è diventato un importante attore radiofonico e ha sposato una ancor più famosa collega.
Ma non ha mai rinnegato le sue umili origini e il suo passato da sindacalista.
Ma oltre alla storia di Iron troviamo in questo romanzo tutta una serie di storie, strettamente intrecciate una all’altra.
E’ la storia della formazione di Nathan e delle sue figure maschili di riferimento: Iron, ma non solo. Il padre. E anche il professor Murray, che “se esiste una possibilita’ di migliorare la propria vita, dove può cominciare se non a scuola?”
E’ la storia di un rapporto di coppia. Un rapporto che certo non funziona, ma riesce fino ad un certo punto a trovare un suo equilibrio. Ed è proprio la rottura definitiva di questo equilibrio che fa precipitare la situazione. Più che ogni altro evento pubblico è un fatto strettamente privato che porterà la bella e famosa moglie di Iron ad esplodere e tentare di rovinare definitivamente la sua vita.
E quando la storia tra lui e la moglie non può più andare avanti, questa lo denuncia come uomo violento e comunista.
Il tradimento, la delazione da parte di un familiare. E questa è la storia dell’America di quegli anni.
“A me sembra verosimile che in America, nel decennio dopo la guerra (tra diciamo il ’46 e il ’56), si siano significativamente perpetrati più atti di tradimento personale che in ogni altro periodo della nostra storia. Questa brutta cosa che fece Eve Frame era tipica  dell’infinità di brutte cose che la gente fece in quegli anni, o perché doveva farle o perché sentiva il dovere di farle. Il comportamento di Eve  rientrava perfettamente nel quadro delle operazione dal delatore dell’epoca”
Roth dipinge a chiari tratti l’America: quella che vorremmo conoscere e  quella che non vorremmo conoscere mai.
L’America, che punta il dito e condanna – ma punta il dito sempre contro gli altri e mai contro se stessa.
L’America che condanna e impartisce lezioni senza mai fermarsi a riflettere su quali siano i propri peccati e le proprie colpe.
Gli anni più tristi – se di allegri ce ne sono mai stati – vissuti dal popolo statunitense: la paura, il tradimento, il vicino delatore, il coniuge che regala le tue carte e ti infanga.
E la rabbia, la rabbia dei poveri: che essere comunista non vuole dire non avere sogni “normali”
una moglie, una casa, dei figli – magari,  perché no, vendere caramelle senza pensare al passato della donna che ami.
L’America che solo Roth sa raccontare.

“Ho sposato un comunista” di Philip Roth
edito da Einaudi
pp. 305  –  euro 11.50