Ci sono libri che durano il tempo di una stagione, o meno. Altri invece resistono più a lungo. Pochi sopravvivono ad una generazione. Questo di Georges Perec, pubblicato nel 1978, è uno di quelli che probabilmente non morirà mai.
Un condominio borghese di Parigi, i suoi appartamenti, i suoi inquilini. Le mille storie dietro ognuno di essi: persone, oggetti, ambienti, momenti, situazioni. Un puzzle che si compone lentamente, pezzo dopo pezzo, passando dalle storie per lambire la Storia, dagli uomini per affrontare l’Uomo.
Un compendio enciclopedico di saperi ed esperienze, di tradizione e innovazione, di ragioni e sentimenti, che rappresenta un approdo finora ineguagliato dell’esperienza letteraria moderna.
Un progetto letterario, oltre tutto, talmente sfrontato che solo un pazzo poteva concepirlo. E solo un genio portarlo a termine.
Georges Perec, per nostra fortuna, era l’uno e l’altro.
Ciò peraltro non significa che il libro si lasci leggere come un romanzo giallo. Anzi, è bene avvertire il lettore che dopo le prime 100 pagine di minuziose e maniacali descrizioni di oggetti, minuterie, dettagli infinitesimi e cataloghi improbabili, si fa forte la tentazione di mollare tutto.
Non puoi chiedermi questo, Georges! Non puoi pretendere tanto da me, misero lettore desideroso solo di godere di qualche ora se non di svago, almeno di benessere mentale!
Niente panico. La soluzione è a portata di mano: chiudere il libro; concedersi il riposo necessario. E riprovare, lasciandosi trasportare in questo universo frattalico e vagamente ipnotico, che sembra lasciarti immobile e ti fa invece aprire gli occhi nel bel mezzo di un oceano prima ancora di riuscire a sentire il rumore dell’acqua.
È proprio progredendo nella scoperta dei singoli appartamenti, dei loro proprietari e dell’inesauribile serpentone di storie che scaturiscono solo a dischiudere una porta, uno spioncino, solo a scostare un oggetto o a fissare un quadro appeso alla parete, che ci si rivela il folle azzardo di uno scrittore deciso ad infilare in un palazzo i destini dell’umanità.
Gioca a fare Dio, Perec. E sembra divertirsi un mondo a manovrare i suoi personaggi con una disinvoltura pari solo alla sua cultura sterminata. Un gioco a incastri. Uno sfoggio di erudizione. Un tranello letterario. Uno scherzo tragicomico lungo 600 pagine.
Basterebbe provare a riepilogare la storia principale del libro, che ruota attorno al progetto di un certo Bartlebooth. Un miliardario che decide di dedicare dieci anni di vita ad imparare l’arte dell’acquarello, pur non avendone alcun interesse particolare. Altri vent’anni li passa infatti in giro per il mondo a dipingere paesaggi marini, che poi spedisce ad un artigiano specializzato perché li trasformi in puzzle. Tornato a Parigi, si dedica per i successivi venti anni a ricomporre i puzzle, nell’ordine in cui sono stati realizzati. Il cerchio si chiude rispedendo i dipinti nei luoghi originari, dove vengono immersi in un solvente che li cancella del tutto.
Ecco, questo giusto per dare l’idea. Moltiplicate per cento e avrete un libro che è un po’ tutti i libri, una storia che è tutte le storie.
“La vita. Istruzioni per l’uso” di Georges Perec
edito da Rizzoli
pp. 572 – euro 9,90