Un libro ormai di qualche anno fa, che ricorda avvenimenti ancora più risalenti nel tempo. Precisamente la celebre, e ancora oscura, vicenda della “defenestrazione” dell’anarchico Giuseppe Pinelli nella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969 dall’ufficio del commissario Calabresi al quarto piano della Questura di Milano.
Dell’episodio, per molti aspetti cruciale nella vita convulsa dell’Italia dell’epoca, hanno parlato e scritto ormai quasi tutti i protagonisti di quella notte. A partire proprio da Mario Calabresi, del cui libro questo testo costituisce per molti aspetti un’antitesi. Del resto mancava all’appello la voce di un testimone indiretto, Sofri appunto, che da quel fatto, e dalle vicende che da essa scaturirono, ha tratto conseguenze che ha pagato sulla propria pelle fino ad oggi.
Più che parlarne in prima persona però – “Cosa è successo veramente quella notte? Non lo so”, si limita a chiosare l’autore nell’ultima pagina (in realtà lo sa benissimo. O almeno sa benissimo cosa non è successo) – Sofri fa parlare i protagonisti, attraverso una disamina minuziosa delle carte dei tanti processi condotti sul caso, nessuno dei quali peraltro in grado di fornire una risposta credibile a quanto accaduto.
Che invece secondo Sofri era possibile e doveroso dare, almeno riconoscendo alcuni punti fermi come l’alibi inoppugnabile del Pinelli per la strage di Piazza Fontana di cui venne accusato e la concreta impossibilità di una caduta accidentale secondo le modalità ricostruite in seguito. Oltre al fatto che Pinelli stesso non aveva alcun motivo per togliersi la vita.
Quello che emerge, come tutto quello che riguarda la storia repubblicana di quegli anni, è un quadro sconfortante di macchinazioni, congiure, silenzi, insabbiamenti, affermazioni e ritrattazioni che fanno a pugni con il buon senso e con la democrazia di un paese civile. A partire da quell’imbarazzante “malore attivo” che il giudice D’Ambrosio invocò come giustificazione dell’incidente nella sentenza che chiudeva il caso. Depistaggi e storture, in ogni caso, che ancora oggi costituiscono un terreno fangoso impossibile da evitare se si voglia sporcarsi le mani sulle vicende del cosiddetto stragismo di Stato, qualunque cosa questa espressione significhi. Una pagina amara e triste. Specie perché si accompagna a tante altre ancora non chiarite, da Piazza Fontana al G8 di Genova, che la nostra storia ha accumulato troppo velocemente e in troppa quantità. Vale come monito illuminante sui rischi, sempre in agguato, di veder scivolare il nostro Paese da una comoda democrazia a un’altra cosa. Qualcosa a cui è difficile dare un nome ma che in ogni caso ha sembianze decisamente più inquietanti.
edito da Sellerio
pp. 284 – euro 12