“L’agonia dell’agape” racconta l’ossessione di una vita. Ossessione all’apparenza assurda e incentrata su un oggetto privo di alcun interesse immediato ma capace di entrare nell’indole più profonda di un individuo, consumandola ed al contempo offrendogli una ragion d’essere. Ma fin qui niente di nuovo: i personaggi dei romanzi di William Gaddis possono dirsi tutti guidati da personali ossessioni, dal denaro di “JR” all’(in)giustizia sociale di “Gotico Americano” – fino alla “storia del piano meccanico” di quest’ultimo, postumo romanzo. La scelta dell’oggetto sembrerebbe appunto arbitraria ma sarà facile apprendere (e l’edizione italiana ci aiuta con l’ottimo apparato di postfazione ed appendici) come questo progetto sia stato forse il più sentito durante la vita dello scrittore.
Per chi non conosca ancora William Gaddis, “L’agonia dell’agape” è una lettura difficile da consigliare: molto più avvincenti le costruzioni polifoniche di “JR” o delle “Perizie” (pressoché introvabile, però, con l’ultima edizione datata 1967), più “semplice” e contenuto lo sviluppo tra quattro mura di “Gotico Americano” – per non parlare del quarto titolo, “A frolic of his own”, non ancora tradotto in italiano. Ma nelle 84 pagine del suo ultimo lavoro, Gaddis ha condensato e distillato una poetica sofferta, ha scelto di esporre al lettore il “nervo scoperto” delle sue paure più profonde, adottando un semplicissimo accorgimento tecnico – passando cioè dalla prediletta struttura dialogica al monologo, come appello accorato rivolto ad un ascoltatore invisibile:
“[…] perché di questo si tratta, di questo parla il mio lavoro, il collasso di tutto, dei significati, del linguaggio, dei valori, dell’arte, disordine e dissesto ovunque si guardi, l’entropia che inghiotte ogni cosa visibile, intrattenimento e tecnologia e bambini di quattro anni tutti dotati di computer, ciascuno è artista di se stesso da dove è venuto tutto ciò, il sistema binario e il computer, da dove ha avuto origine la tecnologia tanto per cominciare, capite?” (pp. 11-12)
Questo flusso di coscienza si distende senza soluzione di continuità in un unico paragrafo da leggere tutto d’un fiato, basato però su una rete di rimandi e citazioni talmente complessa da costringere i curatori del volume a chiamare in causa lo strumento ipertestuale (a questo link), come supporto necessario per dipanarne l’intricato garbuglio.
Ma come si svolge questo romanzo-fiume sulla storia del piano meccanico?
Protagonista è la voce che ci apostrofa, di un uomo ormai distrutto, fatto a pezzi dalla malattia e dalle medicine (il Prednisone, di cui lo stesso Gaddis fece uso per curare il suo enfisema – e che in parte giustifica la forma slegata e divagante del monologo); quest’uomo ha dedicato la sua vita intera a raccogliere la documentazione per il suo progetto, che non è semplice curiosità di erudito ma indagine sulle ragioni profonde del male nella società odierna. Il passaggio dall’esecuzione diretta alla riproduzione meccanica del brano (ed il riferimento a Benjamin è inevitabile, se non un poco ingombrante) comporta infatti la totale eliminazione della figura dell’artista dall’opera d’arte, declassandola così a semplice esercizio combinatorio, a vuoto passatempo per le masse. Per un’umanità che sta perdendo la propria “agape” (la comunione dell’amore fraterno, celebrata dai primi filosofi cristiani), l’unica salvezza risiede nell’inesauribilità del suo percorso, nella fiducia in quell’io che poteva fare di più (o che “poteva fare qualunque cosa”, p. 95), celebrato nell’ultima pagina del monologo: quell’io giovane che ha di fronte a sé tutte le possibilità, ma che soprattutto rifiuta la sterile riduzione dell’arte (e della vita) ad “un pezzo di cartone traforato” (p. 87). Per questo motivo “L’agonia dell’agape” parla di un libro mai scritto, che avrebbe dovuto narrare una storia nefasta, significativamente conclusa dall’anno nero della storia americana, il 1929; in questa voce che non riesce a (smettere di) raccontare, è tutto l’orgoglio di un’umanità che lotta disperatamente per sopravvivere, minacciata da quei mezzi che essa stessa ha costruito.
Con questa pubblicazione la casa editrice Alet di Padova aggiunge un fondamentale tassello (il quarto, su un totale di cinque) alla ricostruzione in lingua italiana dell’opera di un autore determinante non solo per il “canone” del postmoderno americano ma anche per la futura definizione di un sapere etico ed estetico condiviso.
“L’agonia dell’agape” di William Gaddis
titolo originale: “Agapē Agape”
edito da Alet
pp. 144  –  euro 15