Sebbene Carlo Levi sia conosciuto principalmente per “Cristo si è fermato a Eboli”, opera in cui racconta l’esperienza da confinato in Lucania negli anni del regime fascista e che offre un formidabile affresco della società contadina meridionale, non minor attenzione merita la sua seconda prova narrativa, “L’Orologio”, da molti considerato uno dei migliori esempi di romanzo d’impegno politico nel Novecento italiano.
La narrazione si svolge interamente in tre giornate del dicembre 1945, durante la crisi del governo presieduto da Ferruccio Parri, che aveva guidato l’Italia nei primi mesi dopo la Liberazione. Quel momento cruciale della storia d’Italia, che vede rompersi l’accordo fra le forze che avevano dato vita alla Resistenza ed aprire la strada ad un lungo periodo di governi democristiani, costituisce però solo lo sfondo di un quadro molto più ampio nel quale Levi riesce a cogliere le molteplici facce di una società straziata dalla guerra ma al contempo in grande fermento, che riprende a muoversi, a viaggiare, a commerciare. Le preoccupazioni e le speranze suscitate dalla crisi di governo emergono innanzitutto nelle accese discussioni che coinvolgono gli amici intellettuali e i compagni del giornale (Carlo Levi era a quel tempo direttore del quotidiano romano L’Italia Libera, organo ufficiale del Partito d’Azione); ma le loro riflessioni tutte teoriche, colme d’illusioni, sbiadiscono di fronte alla descrizione, assai più dura e penetrante, della realtà materiale dell’epoca, quella delle osterie romane, delle periferie degradate, delle campagne disseminate di briganti e di scheletri di carri armati, della piccola borghesia con i suoi soliti e sempre meschini interessi personali.
Indugiando tra invenzione romanzesca e ricostruzione storica, Carlo Levi – che anche quando scrive non si dimentica di essere soprattutto pittore – dipinge indimenticabili paesaggi cittadini che pullulano di gente spiantata e di jeep americane che sfrecciano a tutta velocità; dà immagine ad ansie, credenze e pensieri di una vasta moltitudine di uomini che popola le strade o si nasconde agli occhi delle autorità; tratteggia caratteri e condizioni umane d’ogni tipo – mendicanti, prostitute, reduci di guerra, partigiani, commercianti, giovani intellettuali, uomini politici – che rivelano lo spirito e i sentimenti di un tempo ricco di fragilità e debolezze che la lotta resistenziale aveva solo momentaneamente nascosto. Come in susseguenti scene di un unico grande affresco, Carlo Levi restituisce così un’Italia assai più complessa e sfaccettata di quanto siano in grado di raccontare le più eroiche storie della guerra e della Liberazione; un’Italia senz’altro meno epica, ma più vera, come solo pochi maestri del Neorealismo hanno saputo mostrare. Ed in questa complessiva ed articolata rappresentazione, la vicenda che dà il titolo al libro e avvia la narrazione – la rottura di un orologio, prezioso dono paterno, presagita da un inquietante sogno notturno – si pone così come allegoria di una società che, malgrado speranze e fermenti, rivela all’improvviso il suo immobilismo…unica eredità, questo meccanismo inceppato troppo antico da aggiustare o correggere, degli slanci ideali e delle illusioni della Resistenza.
edito da Einaudi
pp. 312 – euro 11,50