Chi ha amato “1984” non potrà che accogliere con favore la pubblicazione di un’opera a lungo sottovalutata dalla critica e che fu tra i più significativi riferimenti letterari del capolavoro di Orwell: parliamo di “Noi”, romanzo dello scrittore russo Evgenij Zamjatin, recentemente riproposto al pubblico italiano dall’editrice Voland quale ultimo tassello della collana Sírin Classica.
Il romanzo, scritto poco dopo la Rivoluzione Russa, fu ben presto censurato dal regime sovietico, che vi vide un’inaccettabile espressione di dissenso anticomunista. Per quanto sia innegabile (anche solo per prossimità temporale) una lettura in tal senso, essa ci pare in realtà riduttiva, considerata la capacità di quest’opera di affrontare questioni che investono in maniera più ampia tutto il mondo occidentale e che sono tuttora attuali e particolarmente sensibili.
Zamjatin anticipa molti dei tòpoi letterari che nel Novecento saranno riproposti dalle distopie e dalle opere di fantascienza di maggior successo: il suo mondo presenta quindi molte affinità non solo con 1984, ma anche con le società descritte da Aldous Huxley e Philip K. Dick in alcuni dei loro più celebri romanzi. Nel futuro immaginario di “Noi” il potere è concentrato in un’unica istituzione tentacolare, lo Stato Unico, che sotto la guida del Benefattore (un antesignano del Grande Fratello orwelliano) controlla in maniera scientificamente organizzata secondo i precetti del taylorismo la quasi totalità dell’esistenza dei cittadini, dal lavoro al tempo libero, fino alla vita sessuale. Alla base della sua azione pubblica vi è la convinzione che libertà e felicità siano inversamente proporzionali: l’unica forma razionale di organizzazione sociale è dunque quella nella quale il singolo rinuncia integralmente alla libertà individuale per acquisire diritti in quanto membro della collettività – quel “noi” che dà appunto titolo all’opera.
Il romanzo è scritto in forma diaristica e si compone di una serie di appunti sparsi con cui il protagonista, D-503 (che come tutti i cittadini non è identificato da un nome ma da un codice alfanumerico), vorrebbe celebrare “la bellezza e la maestosità dello Stato Unico”. Egli è uno scienziato, matematico del regime e costruttore dell’Integrale, una navicella spaziale attraverso cui lo Stato Unico intende diffondere nell’universo la propria logica razionale. D-503 pare quindi aderire pienamente al regime, ma proprio la registrazione dei suoi pensieri dà modo di seguirne il progressivo e quasi inconscio allontanamento, innescato dall’amore per una donna che appartiene ad un gruppo di rivoluzionari. Con lei il protagonista infrange ripetutamente le ferree leggi dello Stato, arrivando a fare esperienza di ciò che esiste al di là del Muro Verde, una sorta di cupola di vetro oltre la quale vivono alcuni uomini a contatto con la natura, ancora in libertà. Il diario diventa così lo spazio per osservare nel protagonista la formazione di una nuova coscienza che si ribella ai precetti razionali dello Stato Unico e si apre alla fantasia e al sogno, germinazione di quel principio di libertà che Zamjatin ripone nel profondo dell’anima umana, e che si rivela in grado di aprire brecce in ogni muro – fisico o simbolico – eretto da qualsivoglia regime liberticida.
Il romanzo è intessuto di una lunga serie di riflessioni percorse da dualismi (finito/infinito, razionale/irrazionale, ragione/sentimenti, civiltà/natura, perfezione/imperfezione, noi/io) che rimandano alla basilare opposizione fra oppressione e libertà, conservazione e rivoluzione. Proprio sul senso delle rivoluzioni Zamjatin pare interrogarsi continuamente ed in maniera sostanzialmente irrisolta. Da un lato, il loro perenne susseguirsi assurge a motore primario della Storia umana, strumento e manifestazione dell’infinita perfettibilità delle società: ad esse è associato quindi un indubbio valore positivo, con cui si spiega la simpatia indotta nel lettore per la causa dei ribelli. Tuttavia Zamjatin, che poté osservare da vicino il caso sovietico, coglie nelle rivoluzioni anche la tendenza, contraria alla loro funzione essenzialmente innovatrice, ad attribuirsi lo statuto di “perfette ed ultime”, negando quindi ulteriori possibilità di rinnovamento e creando un terreno fecondo per nuovi oppressivi regimi. Una dialettica dunque insolubile, quella tra conservazione e rivoluzione, posta a fondamento dell’evoluzione sociale e sul cui campo – ci suggerisce “Noi” – si giocheranno le sorti dell’uomo e della sua libertà.
edito Voland
pp. 191 – euro 14