“Pastorale americana” scritto nel 1997 è il primo romanzo della trilogia cui appartengono anche “Ho sposato un comunista” e “La macchia umana” ed è anche il romanzo che valse a Roth il premio Pulitzer per la narrativa nel 1998.
Romanzo che andrebbe letto più volte, ogni volta con occhi diversi.
Con gli occhi di Nathan – alter ego di Roth – per scoprire quale è stata la vita dello Svedese, dotatissimo e integratissimo ebreo. Issimo in tutto ciò che possiamo immaginare, idolatrato da tutti i compagni di scuola, che ne fanno un mito, il destino sembra avere in serbo per lui il meglio, a partire dal matrimonio con Miss New Jersey.
Perché lo Svedese e la sua famiglia rappresentano la perfezione, lo Svedese sa sempre quello che è giusto fare e fa sempre quello che è giusto.
Sempre troppo attento a che gli altri non siano infelici. Sempre troppo.
E qui possiamo iniziare a leggerlo con gli occhi dell’adulto, chiedendoci quante volte agiamo non pensando a quello in cui crediamo, ma cercando di compiacere chi amiamo agendo “il giusto”.
Per poi essere proiettati nella catastrofe totale.
Riprendendo poi a leggere con gli occhi del coniuge, che “Pastorale americana” è anche la storia di un matrimonio, perfetto nell’apparenza e nella sostanza. Un matrimonio come tanti, un matrimonio tra due sconosciuti, che fanno entrambi del loro meglio per supportare la figlia balbuziente che non riesce a superare il suo problema.
E ancora leggerlo ancora con gli occhi del genitore, il genitore che ama i figli più di ogni altra cosa, progetta il loro futuro – finché è il futuro stesso ad irrompere nella vita. E quando insieme al futuro la storia ci chiede il conto, crollano tutte le maschere e i luoghi ideali che ci siamo costruiti.
Si può passare poi a leggerlo con gli occhi del figlio, che chiede un amore diverso da quello che il genitore è in grado di dare, chiede e cerca risposte nei modi e nei mondi che possono apparire più assurdi, i mondi più lontani da quelli sognati per lui dalla calda e protettiva, giusta, famiglia di origine che sola sa qual’è la strada della felicità.
E’ una storia di buoni, che ci insegna che nella vita non basta essere buoni perché si può fare del male anche senza saperlo.
Perché quando si interagisce con altri esseri umani non basta la buona volontà, non basta il voler perseguire “il giusto”.
Roth dipinge così in molte sue sfaccettature l’America e i suoi figli, rendendoci partecipi delle loro aspirazioni, dei loro dolori, delle loro sconfitte, della caduta di un sogno che, come fa lo stesso Svedese, imperterriti vogliono continuare a sognare.
edito da Einaudi
pp. 425 – euro 14