C’è ancora bisogno di giustificare la presenza di un libro illustrato entro i confini dorati della Letteratura?
Quasi certamente no, vista la diffusione di massa di un fenomeno che, a pensarci bene, non fa altro che riportare ai suoi albori primordiali l’arte del racconto. Quando per descrivere il mondo circostante non c’era altro modo che quello di tentarne una raffigurazione visiva.
Oggi quello dei romanzi grafici (o “graphic novel”, secondo la più accattivante definizione anglosassone) è un genere che non ha più molto da invidiare alle letture tradizionali. E anzi sta conoscendo una popolarità che cresce di pari passo con la qualità, artistica ed espressiva, dei suoi contenuti.
Questo di Guy Delisle – canadese, classe 1966 – rientra in quella sottospecie di romanzo grafico che prende il nome di “graphic journalism” e sta affiancandosi prepotentemente al filone dei reportage di viaggio (o di guerra, ché spesso poi le due cose coincidono).
Delisle è un disegnatore dal tratto preciso e leggero, che si descrive in prima persona con toni spesso autoironici e tipicamente fumettistici. Ma seguendo le disavventura del suo alter ego di carta, ci si ritrova coinvolti in luoghi e scenari esotici e a volte estremi, riportati con una vividezza ed una fedeltà che a fatica si riuscirebbe a raggiungere con la sola parola.
Dalle sue esperienze di lavoro in diversi studi di animazione asiatici sono nati tre volumi dedicati, rispettivamente, alla Cina (Shenzen, 2001) alla Corea del Nord (Pyongyang, 2003) e al Myanmar (Cronache birmane, 2007).
Dei tre, il più impegnativo e difficile è probabilmente proprio il secondo, Pyongyang, ripubblicato proprio in questo periodo da Rizzoli-Lizard.
Difficile, perché il divario tra l’ironia leggera dell’autore e la cappa di pesante tirannia che incombe nella Corea sopra il 38° parallelo è davvero stridente.
E questo nonostante Delisle faccia di tutto per rimanere fedele al suo stile e provare a restituire in forma ironica il senso di straniamento che accoglie il visitatore occidentale in visita nel regime più folle del mondo.
Ma anche la sua giovale allegria deve arrendersi di fronte agli ambienti asettici e desolanti dei giganteschi alberghi deserti, all’asfissiante e onnipresente culto del leader, al triste grigiore dipinto sul volto di un popolo asservito ad un dominio brutale quanto illogico. Soprattutto, alla sensazione costante (che diviene presto certezza) di essere seguiti, controllati, spiati in ogni momento della giornata.
Sono tutti elementi che in teoria si adattano pochissimo al disegno ma che pure sono indispensabili per dare il senso di una dittatura che pare uscita dalle pagine di Orwell (“1984”, non a caso, è il libro che l’autore porta con sé e prova a consigliare alla sua guida che glielo restituisce inorridita e imbarazzata).
Si seguono così le avventure surreali di un occidentale in Corea con un senso di profonda amarezza per le condizioni di un popolo dimenticato.
E insieme con il sollievo autentico di pagare il tributo di confusione, contraddizioni ed incertezze che è alla base della nostra libertà.
edito da Rizzoli
pp. 184 – euro 16