Iniziamo, in barba alle convenzioni, dalla fine: un’automobile che esplode davanti al Quirinale. Obiettivo? Far saltare in aria un mondo che “fa schifo. E questo lo sanno tutti, ma nessuno se ne cura”. Tutto il resto del romanzo è dedicato a domandarsi il perché. Alberto è un giovane rampante ma buono, Andrea un deejay diplomato nell’arte della ninfomania, Livia è bellissima ma non uscirà indenne dalla storia perché la realtà, avvolta nelle sue contraddizioni le cadrà addosso, pesante, poco prima dell’esplosione; Vincenzo invece è un incendiario di professione. Una squadra perfetta, animata dalla precarietà permanente. Le loro vite provvisorie si “infrangono contro un muro di merda”, dove non c’è spazio nemmeno per il presente e il futuro è un’utopia solo secondaria. Non c’è nulla, però, della becera riflessione politica di marca sessantottesca nelle parole di Giuseppe Truini, alla prima prova per la casa editrice romana Ensemble Edizioni: le sue parole piuttosto suonano ordinate e precise, la sua prosa si mostra pulita, il ritmo tende a scorrere ininterrotto fino all’ultima pagina. Spesso libri del genere sono ammantati di autoreferenzialità e i loro autori colpevoli di onanismo. Qui per fortuna sopravvive il gusto della narrazione: alcune adorabili liste, qualche dialogo improbabile con i fantasmi di Beckett, Shakespeare e Goldoni, che sembrano pescati direttamente dal repertorio di Woody Allen. Per non parlare delle digressioni, mai banali (si va da Kant al dialetto torinese, da Kundera a Lou Reed) e, cosa forse più importante, misurati col centimetro un attimo prima di scadere nel noioso. “Se domani si vive o si muore” è un romanzo leggero, agevole, messo da parte il finale. Nella sua seconda metà il libro vive una leggera involuzione, si incupisce, molto probabilmente per esigenze della trama ma non viene meno la verve narrativa dell’autore né il suo furore belligerante. “Se sei il lavoro che fai e sei costretto a fare un lavoro di merda, ne consegue che sei una persona di merda? Non credo”. Il giudizio è lapidario. Ma non me ne voglia l’autore quando dico che le pagine dedicate all’ironia, al divertissement sono sicuramente più amabili di quelle dedicate alla rabbia (che è la vera chiave di lettura del testo e forse la sua più intima lèva). Vero è che sia il prologo che l’epilogo sorgano come colonne popolate da una collera profonda e silenziosa, ma nel mezzo ci sono un incontro con un mercante professionista di marijuana, una serie di lezioni di teatro assolutamente sconclusionate, una provincia italiana messa in ridicolo, e numerosi momenti di ribellione verbale durante una lunga e scadente fiera delle vanità; estratti plausibili della vita di uno studente fuorisede e fuoricorso per cui il mondo circostante si presenta come incomprensibile prima che ingiusto. In questo spazio vivono le ansie di Lino Di Mario, erede involontario delle sorti di un padre e la sua fabrichètta torinese, strappato da una vita disagiata ma scelta con abnegazione per vivere quella di un altro. Capitano d’impresa per caso e forse proprio per questo eroico Lino si ritroverà a dover fronteggiare a mani nude un banchiere insopportabile, metafora di una palingenesi mancata per cui la detonazione è l’unica via d’uscita. Bisogna tenere d’occhio Truini, “il ragazzo si farà”. Il rischio è che scriva altri libri, se questo succedesse temo che molti altri, me incluso, saranno mossi dal desiderio irresistibile di leggerli.
“Se domani si vive o si muore” di Giuseppe Truini
pubblicato da Ensemble Edizioni
pp. 204 – euro 15
Recensione di Giovanni Proietta