È martedì 16 agosto 1870 quando Alain de Monéys, giovane aristocratico del Périgord, esce da casa dei genitori diretto alla fiera di Hautefaye, il villaggio più vicino. Alain è un uomo di buon cuore, intelligente e gentile. […] Alle due del pomeriggio arriva all’ingresso della fiera. Due ore più tardi, la folla impazzita lo avrà linciato, torturato, bruciato vivo e, addirittura, mangiato. Come è stato possibile un tale orrore?

Le premesse, è giusto dirlo, piuttosto che avvincenti sono davvero agghiaccianti. Il breve libro di Jean Teulé (affermatosi negli anni ’80 come fumettista, ma da due decenni ormai romanziere di successo) si sperimenta nel doppio tentativo di abbozzare una risposta al terribile quesito, sforzandosi al contempo di fornire una precisa ricostruzione storica dei fatti. Ma premetto ulteriormente: non si può dire che questo risultato sia del tutto raggiunto. La narrazione di Teulé non nasconde nulla, cerca perfino (a tratti) di porsi entro una distanza prospettica, da cui osservare i fatti con un sostanziale distacco emotivo, capace di metterne a nudo le (devianti) logiche di fondo. Ma questo sforzo “teorico” si accompagna ad una pratica ben più invasiva, per cui il narratore giunge spesso ad esprimere apertamente le sue opinioni, facendo proprio quell’annichilimento che è anche del lettore – come quando, di fronte alla folla esaltata e inferocita, esclama: «Che pena. Solo il diavolo può divertirsi in un gioco così abietto. Abbiate pietà di loro» (p. 72). Lungi da realismi di marca capotiana, la ricostruzione storica di Teulé gioca quindi su un piano del tutto diverso, ed è proprio in questa sua apparente “carenza”, che essa realizza appieno le sue potenzialità. Non si mancherà di osservare, infatti – un poco criticamente –, una certa “piattezza” nella caratterizzazione psicologica di molti personaggi, che appaiono spesso decisamente stereotipati: ma lo “spessore” non è ciò che l’autore ricerca in questa vicenda. Colpirà così l’immagine scelta per descrivere l’ingresso del protagonista nel famigerato villaggio: «La folla si fende, si apre in cerchio; vista dal cielo, si direbbe un sorriso. Alain entra e quella strana bocca si richiude dietro di lui» (p. 19). L’esperienza acquisita come disegnatore, guida Teulé in una rappresentazione grafica (vista dall’alto) della vicenda, tanto che ogni capitolo della via crucis di Alain de Monéys (qui le “stazioni” sono tredici, contro le quattordici canoniche) è accompagnato da un disegno del percorso da lui descritto all’interno del piccolo villaggio. Seguendo una suggestione filmica, la topografia del paesino di Hautefaye richiama così la Dogville di Lars Von Trier – come anche le crudeltà che vi si annidano. Solo che le logiche d’interazione tra i protagonisti non vengono qui giocate sulla sottile scacchiera psicologica della sceneggiatura trieriana, ma nel vorticoso agitarsi di quegli “atomi impazziti” che sono gli avventori della fiera, “orbitanti” attorno al corpo maciullato della loro vittima (cfr. p. 37). La condizione indagata da Teulé è quella del più profondo abominio, quando l’anima esaurisce completamente il suo spessore umano, riducendosi a punto senza dimensioni, ormai completamente privo di autocontrollo – e l’uomo che ne ha fatto esperienza potrà davvero dire: “Non so cosa mi sia preso”Vita breve di un giovane gentiluomo non sarà forse un libro perfettamente riuscito, ma resta una lettura capace di lasciare il segno, catturando il lettore pur nella “scontatezza” del suo procedere (come “scontato” è il susseguirsi delle stazioni di una via crucis). E se riposto il libro, a restare sarà solo una sensazione di grande vuoto e insensatezza, forse esso avrà agito più in profondità di quanto sia apparso: perché contro il “Non so cosa mi sia preso” del carnefice, il lettore avrà opposto una semplice domanda: “Ma cosa mi è successo?”

“Vita breve di un giovane gentiluomo” di Jean Teulé

titolo originale: “Mangez-le si vous voulez”

edito da Neri Pozza

pp. 141  –  euro 14.50

Recensione di Simone Rebora